“Nel corso della mia carriera ho incontrato grandissimi musicisti ma pochissimi di questi realmente eccezionali. |
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“Il suo è un percorso trasversale che costeggia la musica brasiliana e il jazz, le sonorità tribali e l’elettronica, |
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“Sono stato emotivamente toccato. E’ una grande musica!” Toots THIELEMANS |
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“La tua musica ha un feeling raro e speciale!” Dori CAYMMI |
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“Rinaldo la tua musica è assolutamente stupefacente … è senza tempo!” Mark MURPHY |
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“Un indiscutibile qualità musicale con una cifra stilistica del tutto rara” Giorgio GASLINI |
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“Rinaldo Donati NÃO è dove tutto è NO pur essendo nel suo insieme un SI. Non è solo jazz e non è latin jazz, |
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“La musica dei NÃO è proprio particolare: nessuno, assolutamente nessuno può sapere prima dove va a parare” Marco Antonio RIBEIRO |
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“E’ una musica le cui radici affondano in un sud-america tutto interiore, ideale e per questo idealizzato |
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“E’ una ricerca compositiva estrosa nell’idea e minuziosa negli arrangiamenti per un mondo immaginario che poggia |
Maggio 2020
Musica e immagini / La doppia arte di Rinaldo Donati di Beppe Ceccato – MUSICABILE / TGCOM24 |
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Giugno 2009
Recensione: MUNDO SIMPLES – DONATI Cool D:vision / Energy Production di Francesco Giordano – RADIOATTIVITA’ |
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Ottobre 2008
Recensione: MUNDO SIMPLES – DONATI Cool D:vision / Energy Production di Antonio Forni – MUSIBRASIL |
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Novembre 2007
ACID JAZZ: INTERVISTA a DONATI Donati: la Bossa e il Brasile nel cuore. di Francesco Giordano |
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Novembre 2006
Recensione: VAGALUME – DONATI Cool D:vision / Energy Production di Antonio Forni – MUSIBRASIL |
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Settembre 2005
Recensione: CASA BRASIL – DONATI Cool D:vision / Energy Production di Antonio Forni – MUSIBRASIL |
Giugno 2009
Recensione: MUNDO SIMPLES – DONATI
Cool D:vision / Energy Production
di Francesco Giordano – RADIOATTIVITA’
Rinaldo Donati è musicista, arrangiatore, produttore artistico e compositore anche per danza contemporanea. Un animo da esploratore salgariano nella cui musica convivono un raffinato impressionismo e un gusto innato per lo spazio.
Laureato in musicologia è da oltre 15 anni attivo a livello discografico e prosegue con il nuovo “Mundo Simples” il suo percorso musicale fatto di ricerca con una grande passione per il jazz e un confessato amore per la musica brasiliana. Eumir Deodato ha speso grandi parole in occasione di questo nuovo lavoro e di lui dice che è un artista eccezionale e che “Mundo Simples” è un lavoro assolutamente unico, pionieristico e totalmente innovativo.
Musiche avvolgenti e ricche, autobiografiche nei testi come in tutte le note che vi scorrono. Il nuovo lavoro alterna classiche songs, a pezzi nei quali l’aspetto compositivo è più dilatato e cammina generandosi a fianco dell’arrangiamento che per l’artista ha spesso una valenza fotografica, al fine di creare un’immagine emotiva in uno spazio sempre in movimento.
“Mundo Simples è la mia somma oggi – ci ha detto l’artista in occasione di un’intervista rilasciataci-. Forse tutto fa parte di un normale processo di maturazione ma è come se avessi avvertito la necessità di disegnare il mio panorama emozionale.
Spesso mi domando con quale soggettività i miei occhi guardano questo mondo che vivo. Ho trascorso la mia vita nel desiderio di conoscermi con i suoni, i colori e le forme, ed é attraverso ciò che ho realizzato nel tempo che ho la più esatta percezione di chi sono.”
”Per scrivere e tradurre in suono Mundo Simples – ha proseguito Donati – ho immaginato un viaggio, prima nella cabina di una nave fantasma e lo studio di registrazione stesso, nei lunghi mesi in solitudine: guardarsi dentro per andare fuori”.
Francesco Giordano
Settembre 2008
MUNDO SIMPLES
ACID JAZZ: INTERVISTA a DONATI
Rinaldo Donati è musicista, arrangiatore, produttore artistico e compositore anche per danza contemporanea. Un animo da esploratore salgariano nella cui musica convivono un raffinato impressionismo e un gusto innato per lo spazio.
Laureato in musicologia è da oltre 15 anni attivo a livello discografico e prosegue con il nuovo “Mundo Simples” il suo percorso musicale fatto di ricerca con una grande passione per il jazz e un confessato amore per la musica brasiliana.
Eumir Deodato ha speso grandi parole in occasione di questo nuovo lavoro e di lui dice che è un artista eccezionale e che “Mundo Simples” è un lavoro assolutamente unico, pionieristico e totalmente innovativo.
Musiche avvolgenti e ricche, autobiografiche nei testi come in tutte le note che vi scorrono. Il nuovo lavoro alterna classiche songs, a pezzi nei quali l’aspetto compositivo è più dilatato e cammina generandosi a fianco dell’arrangiamento che per l’artista ha spesso una valenza fotografica, al fine di creare un’immagine emotiva in uno spazio sempre in movimento.
Abbiamo incontrato Donati in occasione di questo suo nuovo lavoro.
AJ:
Parlaci di Mundo Simples di come è nato e di cosa è cambiato in te in quest’ultimo anno nel quale hai creato questo nuovo lavoro.
RD:
“Mundo Simples” è la mia somma oggi.
Forse tutto fa parte di un normale processo di maturazione ma è come se avessi avvertito la necessità di disegnare il mio panorama emozionale.
Spesso mi domando con quale soggettività i miei occhi guardano questo mondo che vivo.
Ho trascorso la mia vita nel desiderio di conoscermi con i suoni, i colori e le forme, ed é attraverso ciò che ho realizzato nel tempo che ho la più esatta percezione di chi sono.
Per scrivere e tradurre in suono “Mundo Simples” ho immaginato un viaggio, prima nella cabina di una nave fantasma e lo studio di registrazione stesso, nei lunghi mesi in solitudine, ha assunto questa forma, poi è stato nel prendere la Dodge della cover l’andare in giro a registrarlo.
Guardarsi dentro per andare fuori.
AJ:
Le tue esperienze sono variegate. Sei un musicista di estrazione jazz che però si è dedicato a molti altri generi e ambiti musicali, dalla canzone d’autore alla musica per la danza contemporanea fino all’elettronica.
RD:
Le mie esperienze in realtà non riesco ad immaginarle come tappe isolate in generi musicali differenti.
Esistono linguaggi diversi, infinite tonalità di colore e linee nella forma e per me scrivere musica è come fotografare la traiettoria di un pensiero estetico che si muove attraverso ciò che ho letto, ciò che ho visto, attraverso ciò che amo.
Questa dinamica potrei quasi disegnarla e rivederla nella stesura esatta di un singolo brano, nella tracks list di un mio album o nel guardare tutti i miei lavori stesi su un tavolo dal primo all’ultimo.
AJ:
C’è qualche aneddoto, qualche episodio particolare, gioioso o di difficoltà legato alla tua vita artistica anche passata che ci vuoi confessare o svelare …
RD:
Il primo che mi viene in mente è un aneddoto simpatico avvenuto molti anni fa durante le registrazioni del doppio album “Jardim Botânico Oceânico” con il settetto NÃO. Era inverno ma dovetti chiedere a Kal dos Santos che stava suonando il berimbão di spogliarsi quasi nudo perché quella pur lievissima porzione di suono della zucca quando si stacca dalla pelle, avrebbe avuto una sfumatura che non potevo gradire se avesse avuto un maglione. Quel berimbão era solo una delle 70/80 tracce di un mix complesso. Lui mi guardò dapprima stralunato ma subito acconsentì, poi si ammalò.
Ricordo che con Humanoptères, un lavoro in duo dedicato al mondo degli insetti, realizzato con Véronique Abat (coreografa e interprete), abbiamo percorso per tre anni tutta la Francia in lungo e in largo come due Don Chisciotte per offrire estratti di soli 15 minuti di fronte a commissioni piuttosto ostili. Il TGV era diventato la nostra casa fino a quando quel lavoro vinse il primo premio al “Concours Internationales de Chorégraphie” a Rouen in Normandia.
Uno che svelo.
Un festival piuttosto importante con artisti di livello mondiale in cartellone e il settetto NÃO già sul palco che mi attendeva di fronte ad un pubblico numerosissimo in religioso silenzio.
Io venni trattenuto dagli organizzatori perché firmassi documenti poco puliti, mi divincolai e riuscii a scappare salendo proprio sul palco.
Loro con gli occhi di fuori ed io che li invitavo a venirmi a prendere dove ero. La musica nella rabbia volò alta. Un tempo partimmo in trio con un furgone camperizzato e un generatore di corrente per fare un tour europeo suonando per strada. “Bluelettrico” due chitarre elettriche e batteria senza cassa. Indefinita la data di rientro. Non avvertii mai così forte, nemmeno in teatro, l’attenzione e il rispetto del pubblico; cento persone che si fermavano in piedi in cerchio ad ascoltare in silenzio assoluto. L’esperienza fu durissima perché il costante arrivo della polizia in ogni luogo disperdeva il pubblico che arrivava a questionare lamentandosi severamente con gli ufficiali che non consentivano il guadagno lungo quell’esperienza per strada. Avignone: unico luogo ammesso Piazza dei Papi. Quella sera si cenò! A Versailles rischiammo il foglio di via e il sequestro completo di furgone e strumenti. Mondo Semplice!!!
AJ:
Come descriveresti oggi il tuo modo di fare musica e cosa è cambiato dalle tue prime esperienze artistiche?
RD:
Mi rendo conto che il mio modo di fare musica non è di questo tempo e a volte mi sembra di vivere come un naufrago sulla mia isola privata.
Potrei passare due giorni su una traccia di agôgô e diventare quella campana metallica percossa dalle spazzole e trasformarmi in quel metallo che vibra. Questa può sembare una fobia mentre per me è invece un lusso, ha un costo elevatissimo ma ho bisogno di vivere così.
Ricordo di essere entrato in una stanza e un amico stava suonando una nota bassa di un pianoforte, la stessa nota da mezz’ora. Uscii tornai dopo un’ora, era ancora li e mi guardò con gli occhi viola sbarrati dicendomi: “Rinaldo da questo martello che percuote questa corda, negli armonici che si espandono nell’aria, c’è un mondo intero che si genera”. Ecco, si tratta di questo, a me interessa quel mondo fatto di attenzione sottile e cura.
La mia attitudine nel fare musica non è mai cambiata, è nel gioco serissimo di un bambino dove le dodici note sono il niente ma cercando quel senso individuale in cui fonderle posso arrivare a costruire piccoli universi personali. Credo che i miei album si possano ascoltare su differenti piani. Amo far coesistere informazioni differenti e linguaggi diversi che si intrecciano armonicamente, ritmicamente e melodicamente, come nel disegnare un panorama che si muove. Questo senso di moto e questa quantità di informazioni implicano un ascolto più impegnativo e questo non è del nostro tempo.
“Terraqueo” ad esempio, un brano da Mundo Simples, può essere ascoltato come 3/4, 12/8 o 3/4 latino. Idealizzo un ascoltatore che segua la melodia cantabile ubriacandosi nel fonderla con il panorama ritmico. So che quegli ascoltatori sono tantissimi ma nella confusione è molto difficile raggiungerli ed io oggi resto sulla mia isola … e forse è un peccato.
AJ:
In quali progetti ‘trasversali’ sei occupato in questo momento?
RD:
Diciamo due più uno!
Danny Given! che ha una voce “cool” che mi tocca profondamente.
Per me è come un super eroe che invece di tendere tele di ragno e volare sui palazzi, canta con semplicità ma con quel senso esatto nel tradurre il mondo che mi emoziona.
Sarà un album, sarà un film, un fumetto sonoro o semplicemente continuerà a cantare ed io ad ascoltarlo. Il secondo immediatissimo è che amerei inforcare una tre cilindri Triumph e attraversare l’Europa di corsa e poi dedicarmi ad una musica realizzata solo con chitarre sovraincise, una cascata di corde e harmonizers. Chilometri di note e senso dello spazio, come un urlo.
Sto facendo benzina.
Il terzo, è il più trasversale! – rido!
Sto scrivendo brani semplici con dentro ciò che la gente semplice vuole per un album che vendesse finalmente i dischi in un mondo sempliciotto ma molto meno semplice del mio.
… e pensare che per ascoltare davvero la musica basterebbe amarla un po’.
.. o, se preferite, per amarla basterebbe ascoltarla.
Rinaldo DONATI
P.S.
Questa intervista non è stata pubblicata a causa della chiusura della rivista Acid Jazz
Ottobre 2008
Recensione: MUNDO SIMPLES – DONATI
Cool D:vision / Energy Production
di Antonio Forni – MUSIBRASIL
Rinaldo Donati è alla sua terza prova per una delle etichette maggiormente orientate verso contaminazioni brasiliane, tra quelle che in Italia rivolgono la propria attenzione ai trend sonori contemporanei.
L’album è un’opera da assaporare nel suo complesso, rinfrescante come acqua di sorgente, realizzata da un autore eclettico che nelle note di copertina riceve esplicito nihil obstat da colui che degli eclettici è il re, Eumir Deodato. È il lavoro finora più intimo e introspettivo del musicista milanese, registrato come sua abitudine senza fretta alcuna e lontano anni luce dalla logica del passaggio radiofonico.
Pure se “Tone by tone”, proposta sia in versione vellutata che effervescente, ha le evidenti connotazioni del singolo. Dopo scremature successive avvenute nel corso degli anni, Donati ama ora circondarsi di collaboratori fidati e dirigere un gruppo di lavoro solido e affiatato, che utilizza in modo non invadente le attuali tecnologie esecutive.
Dimostrandosi ancora una volta libero da condizionamenti, l’artista non si preoccupa di dosare gli ingredienti sonori a sua disposizione, riservando quote distinte e garantite a questa o a quella sfumatura. Nel suo “mondo semplice”, jazz, atmosfera, elettronica, acustica, bossa (nu o old che sia, abbasso le definizioni!) vivono, fluiscono, si alternano, si sovrappongono e interagiscono.
Rinaldo non manda cartoline dal Brasile ma scatta ritratti d’autore a otturatore aperto, per catturare quanta più anima possibile.
Non su pellicola, ma in un luogo indefinito del cuore e della mente.
Un’impressione generale confermata dall’esplicita “Fotosensível”, dove seducenti corde evocano minute gocce di rugiada. Sussurrato dallo stesso Donati, il testo gioca su alcune immagini della jobiniana “Desafinado”.
La title track evoca sensazioni estasianti e angeliche.
La vaporosa versione di “Eu quero um samba” prende per mano il classico di Barbosa/Almeida e lo porta su una nuvola, salutando João Gilberto lungo il tragitto. L’ammaliante “Casa Branca” è bene interpretata dalla brava Silvia Donati. Con la sua voce profonda dal timbro insolito, la cantante bolognese (speriamo non la infastidisca il paragone con Cassandra Wilson) si muove bene anche sugli impegnativi e sofisticati accordi di “Foi sem querer” e tra le pieghe dell’ermetica “Tempo”. Clau Leporace si appropria della sinuosa “Vão” e condivide con Regina Marques la delicatissima “Terráqueo”.
Donati propone un disco autorale, impeccabile ed eco-musicale, a basso impatto ambientale e ad alto tenore emozionale, palpitante e al tempo stesso riposato, che lo laurea definitivamente cittadino del mondo.
Antonio Forni
Musibrasil
Novembre 2007
ACID JAZZ: INTERVISTA a DONATI
Donati: la Bossa e il Brasile nel cuore.
di Francesco Giordano
Ritorna Donati, jazzista raffinato con la passione per la bossa nova, che già in occasione di “Casa Brasil” ci aveva svelato il suo amore per la musica brasiliana e che oggi si ripropone con il delizioso “Vagalume”.
Milanese secondo l’anagrafe, nel dna artistico di Rinaldo Donati si trovano però riferimenti musicali profondamente legati alla musica brasiliana al punto che ascoltando il suo stile è più facile immaginarlo cresciuto con le note di Jobim e Vinicius sotto il sole di Bahia, piuttosto che nella grossa metropoli italiana.
La cultura musicale di Donati però ha salde radici jazz e intelligenti incursioni nell’elettronica, avendo come riferimento principale il ritmo e la danza: in tal senso si è interessato ripetutamente a progetti di fusione fra musica e danza contemporanea.
Nel nuovo “VAGALUME” compone, suona e canta, affiancato in alcuni passaggi dalle voci di Regina Marques, Clau Leporace, Ciane Lopes e Ronaldo Hansen; l’album inciso fra Milano, Rio De Janeiro, Juiz De Fora e Los Angeles vede un felice alternarsi di bossa, richiami jazz, elettronica fra brani composti dallo stesso musicista oltre alla rilettura di due cover come “Medo de amar” di Vinicius De Moraes e “Misterios” di Joyce.
Abbiamo incontrato Donati per saperne di più sul nuovo lavoro e su futuri progetti.
AJ:
Donati raccontaci come è nato il tuo amore per la musica brasiliana:
RD:
Non mi spiego in modo razionale l’attrazione che ha esercitato da sempre su di me. Il puro caso ha voluto che crescessi nella metropoli italiana ed ancora il caso a fatto si che i dischi di Tom Jobim e João Gilberto, parallelamente a quelli di Louis Armstrong e Ray Charles, rapissero da subito la mia fantasia ed in modo assolutamente naturale mi facessero sentire a casa mia, in casa loro.
Non vivo nessun tipo di fanatismo nei confronti del Brasile anche se la sua musica non è riducibile, almeno per me, solo ad “un genere musicale”.
E’ molto di meno e al tempo stesso molto di più. Il suo “respiro” si sintetizza in un linguaggio che unito ad altri sta negli occhi con cui vedo il mondo. E’ solo tramite per uno stile di vita.
AJ:
Ritmo e danza, due elementi cardine nella tua musica: vuoi parlarci dei tuoi progetti legati alla danza?
RD:
I progetti ai quali lavoro in relazione alla danza sono a fianco di coreografi contemporanei pertanto non è il “ritmo” inteso in senso esplicito il fulcro dell’attenzione.
Scrivere musica per il movimento è per me un concetto più legato ad un’idea di “spazio” e di dinamica.
Ad esempio “Humanoptères”, un lavoro realizzato con Véronique Abat, coreografa ed interprete francese, è ispirato al mondo degli insetti, alla dinamica e all’energia che li anima. Abbiamo studiato attentamente cicale, grilli, formiche, ragni e poi abbiamo lavorato, lei da un lato sull’aspetto dinamico gestuale ed io su quello timbrico. Il lavoro si è poi sviluppato in duo sul palco dove con una chitarra elettrica (radio) trattata con un archetto per violoncello, con timbri saturi acidi o con cascate di echi in ripetizione, mi integro o mi modifico con la gestualità di lei. Chiaramente “non ballo” e la mia gestualità rimane naturale ma in stretta relazione con il mondo nel quale ci immergiamo.
AJ:
Il precedente Casa Brasil era maturato attraverso un anno di lavoro ed era un chiaro omaggio allo splendore di Rio de Janeiro e alla bossa nova più autentica: vuoi parlarci di “Vagalume” a partire dal titolo del disco?
RD:
Devo dirti che mi sorprende sempre immaginare un album come ad un lavoro che si compie in un tempo.
Ripenso a “Jardim Botânico (Oceânico)” con i Não: dieci anni. Un muro lo costruisco in un tempo, un album, in una vita o in due giorni ed è quasi uguale ma “il tempo” come concetto è totalmente differente.
“Casa Brasil” è sicuramente dedicato a Rio De Janeiro ed è un tributo di affetto alla Bossa Nova ma non potrei e non vorrei mai dire autentica.
Cosa potrei o vorrei mai aggiungere alla Bossa autentica? In verità nulla. Posso tentare di farla mia e riscriverla.
Jobim una volta disse: “Un musicista mediocre …copia, uno vero …ruba!”. Lui era un genio.
“Vagalume”. Ero in aereo diretto in Brasile o negli Usa, non ricordo esattamente, comunque sempre per musica, video o grafica che per me sono parte di una stessa cosa. Aereo stracolmo, tutti hanno un’idea in testa, una cosa da realizzare e volano e vanno. Vagalume, che vuol dire lucciola, è come il simbolo di quest’energia che ci spinge a costruire, cercare, scoprire e meravigliarci.
Ho immaginato un album dilatato dove, a differenza di “Casa Brasil”, fosse un po’ meno presente l’idea di “song”. Un panorama più largo nel quale accogliere nuovi musicisti che avrei incontrato e vecchi amici che avrei rivisto. L’album è stato registrato in giro, fra il Brasile, Los Angeles e Milano.
AJ:
“Vagalume” nasce da uno dei tanti viaggi in Brasile: nel disco si respirano profumi e colori di quella terra; vuoi raccontarci dei musicisti che hanno collaborato con te e come è stato accolto in Brasile “Vagalume”?
RD:
Ripercorro qualche brano dell’album:
‘perfil de sereia’ …è mattina presto sulle spiaggie deserte di Trindade, la vegetazione rotonda e prepotente aggredisce la striscia di sabbia da un lato, le onde frangendosi la scavano dall’altro, il vapore acqueo crea nuvole altissime e tutto è immerso in una luce d’argento, scrivo ‘perfil de sereia’….è sera e poco distante cammino per Paraty, una cittadina coloniale fra Rio de Janeiro e San Paolo. Dalle finestre di un locale sento una voce che canta, mi incanto. Decido di non entrare per non dare un volto a quel suono….telefono. Io e Ronaldo Hansen ci incontreremo in studio a Rio de Janeiro.
‘rosa vaidosa’ Cercavo una voce che avesse un colore “vanitoso” nel suono. Incontrai Ciane Lopes a Juiz de Fora in uno studio di registrazione dove passò casualmente. Sentì la musica e sapendo che stavo ancora cercando la voce per quel brano si avvicinò e mi disse “… mi scusi, ma … quelle parole sembrano scritte per me!”. La guardai, mise la cuffia come fosse una corona e cantò.
‘bossa na hora’ Incontrai Clau Leporace a Milano, era appena arrivata da San Paolo. Come mi parlò avvertii una spiccata sensualità nel suono e nelle pause rotonde del suo parlare. Questa musica è scritta da Claudio Sanfilippo che è un autore che stimo moltissimo, oltre che essere un caro amico.
‘medo de amar’ Questa musica e questo testo, scritti entrambi da Vinicius De Moraes, sono per me un connubio di poesia elevatissima.
‘mistérios’ scritto da Joyce e Mauricio Maestro, è un brano che scoprii nell’interpretazione di Nana Caymmi. Questa musica ha su di me il fascino profondo di un cielo plumbeo, il riflesso di una lama, uno scuro senso di vertigine. Il canto è distratto.
“Vagalume”, come “Casa Brasil” prima di lui, è stato colto molto positivamente anche se è molto difficile, per un prodotto non spiccatamente commerciale che nasce in Europa o negli Usa, pensare ad una grossa diffusione in Brasile per l’enorme differenza di leggi di mercato. Un aspetto che ho colto con molto piacere è che è stato valutato solo per come la musica esce dalle casse, indifferentemente dalla presenza o meno di bollini DOGT (Denominazione Origine Geografica Tipica), fossero mai stati quelli garanzia di buona musica.
AJ:
In “Vagalume” è anche presente una traccia multimediale con un video da te girato a Rio: vuoi raccontarci come è nata e si è sviluppata l’idea del filmato di cui sei il regista ?
RD:
“Regista” è sicuramente eccessivo! Volevo solo saltare su una Combi Carioca* e con una telecamera cogliere in corsa immagini di gente comune, indaffarata, per strada, il colore di uno sguardo, la moltitudine che pulsa di vita, sequenze cromatiche, dinamiche e poi lo stacco in passaggi al “ralenti” nella forma di enormi vegetali in apnea, nell’angolarità delle forme delle favelas, nella rotondità di un vecchio motore d’aereo, nella silouette di un uomo con giradischi a tromba sulla testa perso sulla nazionale Rio – San Paolo. Sulle note della title track “Vagalume”.
Tutto è originariamente casuale ma dove nulla è mai veramente per caso.
*furgoni Volksvagen rigorosamente bianchi che da una decina d’anni invadono abusivamente le strade di Rio facendo una spietata concorrenza alla rete pubblica municipale.
AJ:
Quali sono i progetti futuri di Donati ?
RD:
Sono molto combattuto. Desidero almeno tre cose antitetiche. Chiudermi in una stanza (che ho costruito l’anno scorso) con il soffitto aperto sul cielo immaginando di essere negli anni ‘50, in viaggio attraverso il Pacifico, nella cabina di un transatlantico fantasma e uscire dopo due anni con un’ora di musica.
La seconda ipotesi è viaggiare per un anno fra Nord e Sud America con uno studio mobile nel trolley. Per la terza ti ricordi “Mission” con De Niro che si arrampica? …e il volto di Klaus Kinsky nel finale di “Aguirre – Furore di Dio”, solo sulla zattera coperto di scimmie? Bene!
…tirare fuori tutte le chitarre elettriche, classiche, acustiche, baritono … per un album che fosse una cascata di luce e di corde.
Mi accorgo solo ora che l’unico comune denominatore di queste ipotesi è nuovamente il viaggio: reale o immaginato …parto!
Rinaldo Donati
Novembre 2006
Recensione: VAGALUME – DONATI
Cool D:vision / Energy Production
di Antonio Forni – MUSIBRASIL
Alla sua seconda fatica per la casa di produzione Energy, il musicista e compositore milanese Donati rimane fedele allo stile nu bossa della sua precedente proposta, mantenendone la spiccata connotazione jazz. Ciò appare evidente nella title track, percorsa da un’incalzante vena swing e in “The million things we say”, caratterizzata dall’introspettivo canto dell’autore, quasi sussurrato e dal pianismo di sapore bop di Alberto Tacchini. “Rosa vaidosa” è appropriatamente sottolineata dalla voce acerba e impertinente di Ciane Lopes mentre l’altra carneade Clau Leporace, dall’ugola tuttavia più dotata e matura, interviene nell’estatica “Valeu” e nella melanconica “Bossa na hora”. Ipnotica la versione di “Mistérios” di Joyce così come l’impegnativa rilettura di “Medo de amar” di Vinícius, affidata a Regina Marques. Due i brani dell’album che ci hanno maggiormente impressionato. Uno è “Perfil de sereia”, con gli ottimi fiati di Marco Brioschi e il vibrafono di Marco Bianchi. Scritto su una spiaggia, bene arrangiato, fotografa perfettamente un momento probabilmente magico. Particolare l’intonazione di Ronaldo Hansen che, pur maschile, ricorda quella di Simone. L’altro è “V como amo você”, dall’atmosfera chill, caratterizzata dal timbro profondo della voce di Kal dos Santos e da percussioni afro. Tra esse, quelle del compianto Heraldo da Silva, recentemente scomparso. Bravo Donati, nelle note di copertina, a ricordare la sua memoria. Non molti lo hanno fatto. Durante tutto il corso dell’album, si ha l’impressione di viaggiare senza fretta, a finestrini abbassati, in un’ora del giorno indefinita ma comunque di passaggio dalla luce all’oscurità, o viceversa. Il tutto per oltre sessanta minuti di musica soprattutto piacevole, in un susseguirsi di intermezzi a tratti intensi, a tratti riflessivi, con pochi momenti interlocutori. Donati firma undici delle tredici tracce, oltre al video di “Vagalume”, inserito come bonus. Da lui girato a Rio de Janeiro, riesce a catturare la tranquilla frenesia di una città che sembra rimanere immobile e, al tempo stesso, non fermarsi mai.
Antonio Forni
Musibrasil
Febbraio 2007
Milano Tonight: INTERVISTA a Rinaldo DONATI
MT:
Compositore, arrangiatore, musicista, produttore artistico. Come si conciliano tra loro tutti questi ruoli e tra questi ce n’è uno che prevale?
RD:
Vivo intensamente tutte le fasi legate al mio lavoro, compresa, ad esempio, quella che riguarda l’aspetto grafico di una nuova produzione. Il piacere di cercare un’estetica soggettiva è la vera dominante in tutti quegli aspetti che citi nella domanda. L’amore per la musica mi porta a scavare in ogni aspetto del mio lavoro e, scrivere un brano, immaginarlo poi prodotto e realizzato in un’insieme di suoni e nella costruzione di un “sound”, sono fasi differenti che fanno parte però di un medesimo processo.
Così, ogni momento deve essere in quella direzione, indipendentemente dal ruolo che svolgo.
MT:
In termini pratici significa dare tutto quello che si può per raggiungere il risultato espressivamente migliore, anche se si tratta di musica che non hai scritto tu …
RD:
In realtà la musica in sé, come fatto generico o come puro prodotto, mi interessa solo relativamente. Mi intriga invece quell’aspetto sensuale o, se preferisci, emozionale che può stare in essa. È una sensazione assolutamente soggettiva, e la parola “emozione”, senza che diventi retorica, diventa poi solo un artificio per tentare di capirsi. Se poi la musica a cui sto lavorando e di altri, questo non fa per me alcuna differenza.
MT:
Come descriveresti il tuo modo di fare musica ?
RD:
Potrei dire che emerge spontanea un’attitudine e una voglia di giocare, un po’ come avviene in un bambino. Di solito capita all’inizio di una nuova produzione quando si cerca la musica in modo estroverso, naturale e istintivo. Poi nel corso del lavoro dovrò misurarmi con canoni estetici, e allora entrano in gioco la cultura musicale e le questioni più squisitamente tecniche che però non riescono però a farmi dimenticare quella fase originaria, visionaria, che mi ha fatto scoprire la chiave per aprire la porta. Riesco a fare musica al meglio delle mie potenzialità quando sento di avere riconosciuto un piccolo universo, che magari è composto da “quelle” quattro note di vibrafono o di tromba, così come accade a un bambino che si concentra al massimo sulle due bilie che deve tirare nella buca. Le bilie e la buca sono il suo universo, l’unica cosa che in quel momento veramente conta. Allo stesso modo, quando devo decidere se dare un db in più o in meno a una percussione in un missaggio dove apro settanta canali, sarà il bambino che decide e trova “il gioco delle bilie” in un momento che sarebbe più semplice e superficiale interpretare come un fatto puramente tecnico. Il paradosso del bambino non è l’elogio dell’infantilismo, sia chiaro, ma significa la consapevolezza che quanto sto facendo segua un’attitudine che sia la più vicina possibile alla musica nella sua naturalezza.
MT:
Come nasce la tua voglia di fare musica?
RD:
Nasce dalla seduzione. Sensualità, seduzione … tutte parole che cominciano con la lettera s. Che cosa mi seduce? Un mondo immaginario, le vite che non ho vissuto, le persone che non ho incontrato. E’ la bellezza di ciò che mi è sconosciuto. Un’altra s…, anche suono inizia con la s. Come sesso, come scoperta. Fare musica è la possibilità di conoscere, di scoprire qualcosa che ancora non sono.
MT:
Le tue esperienze sono variegate. Sei un musicista di estrazione jazz che però si è dedicato a molti altri generi e ambiti musicali, dalla canzone d’autore alla musica per la danza contemporanea fino all’elettronica …
Oggi va di moda la “contaminazione”. Come la vedi questa cosa?
RD:
Non ho mai pensato alla mia musica in termini di un generi musicali. Il jazz così come la musica brasiliana e la bossa-nova mi hanno da sempre rapito per la libertà armonica e melodica e per il loro senso ritmico legato al linguaggio binario. Il fascino che esercitano su di me è inspiegabile, è enorme, da sempre.
L’incontro tra generi diversi fa parte della musica stessa e produrrà nuova musica ma non è inseguendo la “contaminazione” come obiettivo forzato che si arriverà necessariamente a produrre buona musica. La “contaminazione” la vedo in modo scettico se diventa un manierismo.
MT:
Dopo il doppio album “Jardim Botânico (Oceânico)”, con il gruppo NÃO, oggi, hai un altro importante lavoro in uscita: “Casa Brasil”
RD:
Entrambi sono lavori che hanno una matrice linguistica legata al jazz e alla musica brasiliana, appunto.
Jardim Botanico é il frutto di una ricerca sonora molto accurata, che è durata anni di lavoro e che mi ha portato a fare molti concerti con il mio settetto NÃO, con cui ho poi registrato questo album. Jardim Botanico esprime una mia visione, il mio suono, il mio marchio, è stato il mio “cantiere” personale. Casa Brasil invece nasce da un’intenzione diversa, da un’emozione più lampante e immediata. In molte cose è vicino a Jardim Botanico e ne è un po’ la prosecuzione naturale, ma vive di un’espressività più scoperta, più estroversa. Anche in questo nuovo lavoro, la cura della sfumatura e del più piccolo particolare è maniacale. Se non avessi scritto Jardim Botanico non sarebbe mai esistito Casa Brasil.
Le musiche di Casa Brasil sono più legate alla forma “songs” e l’album ospita cantanti brasiliani che apprezzo moltissimo e che affianco sotto questo titolo come vivessero in un condominio carioca. L’album è infatti dedicato a Rio de Janeiro, alle sue innumerevoli poetiche contraddizioni.
Il “suono” di questo album è una fusione acustico/elettrica e negli arrangiamenti si fondono passaggi orchestrali d’archi con pianoforti e vibrafoni più jazzistici a tessiture elettroniche più spaziali.
L’aspetto ritmico è stato curato lavorando con tre percussionisti brasiliani a cui si è poi affiancato un sound più “ipnoticamente” elettronico.
DONATI – CASA BRASIL è l’idea di un “sound”.
MT:
La ricerca di un’estetica personale…
RD:
E’ quella piccola, grande cosa che mi fa svegliare la mattina.
Rinaldo Donati
Settembre 2005
Recensione: CASA BRASIL – DONATI
Cool D:vision / Energy Production
di Antonio Forni – MUSIBRASIL
Rinaldo Donati, chitarrista ed autore dell’area milanese, ha passato gli ultimi vent’anni a suonare jazz e musica latina, sia solo che in gruppo, dividendosi anche tra l’attività di produttore e quella di arrangiatore. Con questo lavoro dedicato a Rio de Janeiro da spazio ad un’ulteriore inclinazione e completa una tappa importante del proprio percorso artistico.
Raccogliendo intorno a sé strumentisti di fiducia ed esperti percussionisti brasiliani di stanza in Italia, alcuni dei quali riuniti nel suo progetto “Não”, Donati esplora con sicurezza i territori della nu-bossa, realizzando un disco che definire solo “d’ambiente” sarebbe estremamente riduttivo. Ci sono suoni d’atmosfera, certo, ma significativi sono soprattutto il lavoro di composizione, evidenziato dai dieci brani originali, e quello di rivisitazione creativa, nei tre classici affrontati.
Tra le tracce, intensa è quella d’apertura, “A casa do querer”, in cui spicca la sensuale voce di Ma-Tilde, che allo stesso modo sottolinea “Não diga não”, samba..canção di Tito Madi e Georges Henry. Ricordavamo un’interpretazione piuttosto cupa e introversa di “É preciso perdoar”, di Carlos Coquejo Costa e Alcivando Luz, ad opera di Cesária Évora in coppia con Caetano Veloso e sotto la direzione di Ryuichi Sakamoto. Senza tema di scomuniche, preferiamo quella di Donati, al tempo stesso ariosa e ipnotica, con una spruzzata di jungle ed impreziosita dalla prova vocale di una Rosa Emilia elegante ed equilibrata. La cantante si ripete, sfiorando l’intima bossa “Ele é erê” e stendendo un velo di pacata serenità su “Papo no jardim”. Non ci convince del tutto “Baiana zen”, che dà l’impressione di non decollare. La melodia è accattivante, ma l’arrangiamento, secondo la nostra confutabile opinione, non sfrutta interamente il potenziale del brano.
Performance tipicamente jazzistiche ed echi di fusion in “Esquinas”: interessanti i suoni dei fiati con sordina e del berimbau campionato. Simili tra loro nella costruzione e leggere come due gocce di rugiada “Vaporosa” e “Nossa ainda é a vossa beleza”, dove la voce di Antonio Julio Filho interviene in modo volutamente discreto. La connotazione ambient è evidente in “De luz é você” e “Delirio acido”, così come nella coraggiosa versione di “Insensatez”, ancora con Ma-Tilde. La linea armonica completamente mutata riscrive lo storico brano di Jobim/ Vinicius in maniera inedita.
Donati si riserva il privilegio di cantare, in inglese, quello che potrebbe diventare il pezzo più radiofonico dell’album, cioè “Give the nova dance a new chance”, proposta anche in un remix che conclude un disco molto curato, preparato senza fretta durante quasi un anno di lavoro e che non dovrebbe assolutamente passare inosservato.
Antonio Forni
Musibrasil
Maggio 2020
Musica e immagini / La doppia arte di Rinaldo Donati
di Beppe Ceccato – MUSICABILE / TGCOM24
http://musicabile.tgcom24.it/2020/05/04/musica-e-immagini-la-doppia-arte-di-rinaldo-donati/
Ci siamo reincontrati per caso, grazie a un post che ho pubblicato alcune settimane su Musicabile: l’intervista a Paolo Alesssandrini autore di Matematica Rock. Nel testo di presentazione che avevo scritto su Facebook, sostenevo che la distanza tra musica e matematica non è poi così siderale; lui è stato il primo a intervenire con un breve ma efficace: “Ma no, dai, per favore”! E subito s’è preso la reprimenda di un altro lettore a cui, sempre lui, da gran signore e uomo intelligente qual è, ha risposto spostando il focus sulle emozioni, sul “sentire” la musica, su quello che può dare a ciascuno di noi, pronto a recepire sensazioni, sogni, immagini. Così, l’ho chiamato e… intervistato. Il lui in questione è un musicista, un bravo musicista. Ed è anche un fotografo, un bravo fotografo.
Rinaldo Donati
Si chiama Rinaldo Donati ha 58 anni ed è un chitarrista di rara raffinatezza con cui condivido una passione infinita per un Paese magico quanto a cultura e musica, il Brasile. Parentesi: il gigante sudamericano da tempo sta passando una crisi culturale e di identità culminata con l’elezione di un presidente ultraconservatore, che si richiama ai “valori” della dittatura militare degli anni Sessanta e Settanta, poco propenso all’apertura mentale che da sempre ha caratterizzato la cultura, soprattutto musicale, brasiliana.
Giorgio Gaslini, mitico compositore e jazzista, di Donati ha scritto: “Un’indiscutibile qualità musicale con una cifra stilistica del tutto rara”. Sono incuriosito dalla contaminazione delle arti praticata dal Nostro. Musica e fotografia hanno molto in comune. Bryan Adams, la rockstar canadese, è anche un fantastico ritrattista. Le sue foto rispecchiano la sua musica (e viceversa). Rinaldo è così, un visionario che ricostruisce i suoi sogni a volte con la musica, altre con la fotografia e, sempre più spesso, fondendo le due attività.
Rinaldo, sgombriamo subito il campo: la matematica nella musica c’и, и innegabile, ma la musica non vive solo per questa “commistione”…
«Premetto, non ho letto il libro di Alessandrini, ma mi son permesso di rispondere a un’osservazione fattami: la matematica può essere una parente della musica, sicuramente lo è, ma la musica, come espressione intima dell’essere, traduzione di un mondo emozionale e immaginato non ha nulla a che vedere con la matematica. Come nella letteratura: la grammatica è essenziale per la conoscenza di una lingua ma non può imbrigliare la poesia o la letteratura. L’arte, in generale, è un canale intuitivo…».
Rio de Janeiro, Posto Nove – Foto Rinaldo Donati
Secondo la tua esperienza…
«… La musica si può fare in tanti modi diversi. Quando compongo immagino luoghi non visti, vite non vissute. Quindi, le rielaboro in armonie e note. Negli anni Novanta scrivevo musica per spettacoli di danza contemporanea dove mi è capitato più d’una volta di essere sul palco con i ballerini, far parte dello spettacolo. Il mio sforzo era quello di comporre non solo tappeti musicali dove i danzatori potessero esprimersi, ma concepire una musica che potesse avere una vita a sé stante».
Da anni ormai, oltre alla musica ti esprimi anche con le immagini…
«La fotografia, quel particolare tipo di fotografia a cui mi sono dedicato, è stata per me la naturale conseguenza del mio lavoro in musica: ho cercato di riprodurre ciò che avevo composto, fissavo nell’obiettivo immagini “lavorate” attraverso il mio mondo, grazie all’uso di filtri e di un ben definito settaggio della macchina fotografica. Cercavo di trovare e trattare un mondo visuale che rispettasse la mia musica. È stato come ritrovare visivamente quello che avevo immaginato con il suono. Un esempio è stato il lavoro che ho fatto a São Paulo. Non avevo mai visitato la megalopoli brasiliana, anche se me l’ero immaginata nei suoni e nelle armonie. Armato di macchina fotografica l’ho percorsa per 15 giorni in lungo e in largo grazie ad amici che mi hanno ospitato. E, mentre fotografavo, ho trovato un parallelo visivo con la musica in un “suono globale”».
Ti senti piщ musicista o fotografo?
«La fotografia è l’altro lato della mia creatività. Mi servono entrambe per riconoscere chi sono. Costruisco forme di empatia verso l’altro ma anche verso me stesso. Non sono legato a un genere, ho molti colori che scopro di attraversarli e unirli».
Rio de Janeiro, Nave – Foto Rinaldo Donati
Dammi una definizione di musica…
«Il mio senso della musica? Un posto dove esprimermi, per questo sono sempre alla ricerca di luoghi che siano “onde d’urto” emozionali molto forti. Tornando alla matematica e alla musica: il Conservatorio è essenziale per imparare la base di questo linguaggio, come la grammatica lo è per una lingua, ma il Conservatorio ti può imbrigliare, trattenerti dall’esplorare il tuo mondo emozionale, irrigidire in schemi…».
D’altronde, se parliamo di artisti soprattutto rock ma anche jazzisti, molti di questi hanno realizzato grandi brani senza saper leggere la musica…
«Qui entra in gioco l’attitudine: devi averla, devi possedere quel qualcosa in più che ti faccia appassionare alla musica. Per me è come l’innamorarsi. Il sentirti talmente attratto che nulla e nessuno può fermarti. Un’onda emozionale molto forte. Al musicista piace giocare con le note, al fotografo con la luce, allo scrittore con le parole, è un gioco che ci si porta dentro fino da bambini: come puoi tarpare le ali a un bimbo che, con un legnetto in mano, sogna di essere alla guida di un’astronave alla scoperta di nuovi mondi?».
Rio de Janeiro, Ipanema – Foto Rinaldo Donati
La musica inevitabilmente si evolve, segue il cammino e le scoperte dell’uomo…
«È un discorso molto complesso. Quello che ti posso dire, è che oggi tra i nuovi generi e nuovi musicisti ci sono alcune perle che fanno fatica a uscire da un mucchio confuso. Il linguaggio (musicale e scritto) è imploso, non c’è praticamente più nessuno che ha il coraggio di mettere il culo su un seggiolino davanti a un pianoforte e cercare sulla tastiera di riprodurre generi, nuove armonie, tecniche senza far ricorso a suoni campionati. Arnold Schönberg nel suo Trattato di Armonia a un certo punto scrive: “C’è ancora tanto da scoprire sulla scala di Do”, cioè la base dello studio della musica. Ognuno si nutra del cibo che crede, massima libertà. Mancano però elementi di libertà espressiva, i generi che vanno per la maggiore oggi sembrano tutti dei carillon prefabbricati, uguali uno all’altro…».
Di te hanno scritto: “Il suo suono costeggia la musica brasiliana e il jazz, le sonoritа tribali e l’elettronica, le suggestioni della danza e delle arti visive. Un animo da esploratore “salgariano”, nella cui musica e immagini convivono un raffinato impressionismo e un gusto innato per lo spazio…
«Sono molto attratto dal linguaggio del jazz, mi ispira grande libertà, mi affascina, ma non sono uno da free jazz, improvvisazione pura, e poi adoro la musica brasiliana».
Rio de Janeiro, Granchio – Foto Rinaldo Donati
Rinaldo, torniamo alla nostra passione, il Brasile…
«Probabilmente in un’altra vita stavo da quelle parti. Una passione che ho fin da bambino, da quando ho letto il Corsaro Nero di Salgari: mi aveva attirato quel mondo tropicale così lontano da noi. Crescendo e suonando la chitarra, sono rimasto fulminato da Joгo Gilberto. Quando l’ho scoperto, sono letteralmente impazzito. La sua musica mi dava un grande senso di pace. Quando arrivo in Brasile, ci vado sempre da europeo. Non pretendo di essere uno di loro, ma lì, mi sento a casa. Da questa mia passione sono nati due progetti, Rio Noir e Paulistas»(da vedere assolutamente!, ndr).
São Paulo, Fusca – Foto Rinaldo Donati
Il tuo ultimo disco risale al 2008…
«Mi sono un po’ perso: ho tre album pronti da pubblicare nel cassetto, ma non mi decido mai. Sto lavorando da tempo su alcuni progetti che includono anche grandi musicisti internazionali, su brani noti, restando sempre sul discorso delle colonne sonore della mia vita. Mi interessa molto il dialogo tra musicisti, rimanere in un certo ambito armonico attraverso varie composizioni che siano un “continuum”. Se riuscirò a portarlo a termine, potrebbe diventare anche un bellissimo live. Ovviamente, musica ma anche immagini. Da alcuni anni mi sono trovato un rifugio, una casa di fine Ottocento sul lago d’Orta, in mezzo a un bosco. Il mio sogno, che spero si realizzi, è creare una “piccola Woodstock” tra gli alberi, una due giorni di musica, con artisti da tutto il mondo che suonano, gente nei prati, una lunga catena armonica…».
Se volete ascoltarlo, trovate i suoi album su Spotify: buoni sogni!
interviste, Musica e… tag: arte, Brasile, contaminazioni, fotografia, jazz, musica, Rinaldo Donati, Rio de Janeiro, São Paulo